Terza transizione e guerra sui talenti: nuove politiche per sfide globali sul lavoro

di Gabriele Marzano
28 agosto 2023

Prologo

Wall E della Pixar, film campione di incassi nel 2008 racconta le vicissitudini di un piccolo robot che riesce a lasciare il pianeta Terra devastato da disastri ambientali. Alla fine il robot raggiunge l’astronave Axiom dove gli ultimi esseri umani sopravvivono attraverso tecnologie avanzate. Non hanno più bisogno di fare alcuno sforzo fisico, si nutrono attraverso sonde, si spostano su poltrone fluttuanti e comunicano fra di loro solo mediante ologrammi. Sono diventati obesi e ormai incapaci di camminare.

Vari anni prima, nel 1972, Wassilj Leontief, economista Nobel russo-americano, scriveva: “Il contributo degli esseri umani ai processi produttivi è destinato a diminuire come accaduto con il ruolo dei cavalli da soma, prima diminuito e poi scomparso”.


La terza transizione (globale)

Oggi si parla molto di transizioni globali: fenomeni la cui scala e trasversalità arrivano ad interessare l’esistenza di tutto il pianeta. Le due più note e discusse nei giornali sono sicuramente la transizione climatica che, se non gestita, rischia di provocare l’estinzione dell’umanità in un pianeta reso ormai invivibile da processi produttivi e da dinamiche di consumo di massa, entrambi estremamente inquinanti. L’altra transizione è quella della rivoluzione digitale. Essa rimanda alla capacità dei processi informatici, digitali e dell’intelligenza artificiale di modificare radicalmente la nostra vita e soprattutto il mondo del lavoro. L’incessante automatizzazione delle attività umane sostituisce queste ultime con l’intervento di macchine, robot, algoritmi e sistemi informatici.

Vi è poi una terza transizione, di cui si parla molto meno, ma che, come per le altre già descritte sopra, mostra sempre più un carattere strutturale perché basata su alcune tendenze incontrovertibili e di dimensione globale. E’ l’inverno demografico (o transizione demografica): una “stagione” in cui il tasso di fertilità (numero dei figli per donna) ha un calo strutturale di anno in anno, ben sotto la soglia del 2 o 2,1. Sotto quest’ultima, secondo i demografi, non si ha più una sostituzione equilibrata fra vecchi e giovani, fra nascite e decessi, e la popolazione stessa si riduce di anno dopo anno. Le organizzazioni internazionali assistono ormai da tempo a questa tendenza comune a molti paesi. Si tratta peraltro di un fenomeno complesso perché in contrasto con una crescita indiscutibile della popolazione mondiale (cosa che si pensa troverà un arresto pieno solo a metà del secolo corrente).

Figura 1: Tassi di fertilità per Paesi nel mondo – proiezioni 2020-2025 (Fonte: United Nations 2019)

Figura 1: Tassi di fertilità per Paesi nel mondo – proiezioni 2020-2025 (Fonte: United Nations 2019)


Per la demografia molti fattori contribuiscono al calo del tasso di fertilità: l’aumento dei redditi in una popolazione, i cambiamenti nei valori e nelle attitudini, l’aumento del livello di istruzione e della partecipazione femminile al mercato del lavoro, politiche di controllo delle nascite, la diffusione dei metodi contraccettivi, il crescente livello di parità di genere, l’aumento dell’infertilità.


Figura 2: Proiezioni del tasso di fertilità per Regioni mondiali [fonte: Rust, Niki & Kehoe, Laura. (2017). A Call for Conservation Scientists to Empirically Study the Effects of Human Population Policies on Biodiversity Loss. 1. 53-66. ]


Solo in parte dell’Africa (e in Afghanistan) il tasso di natalità permane attualmente su tassi superiori al 4.0. In altre aree del mondo si hanno fenomeni radicalmente opposti (e a volte estremi). In Sud Corea il tasso di fertilità registrato nel 2021 è il più basso in tutto il mondo: 0,81. In Cina, lo stesso tasso è all’1,15 e scende di anno in anno tanto che i nuovi nati sono sempre di meno: da 18 milioni di nuovi nati nel 2011 si è passati a 12 milioni nel 2021

Di contrasto, le politiche portate avanti in vari Paesi per stimolare l’aumento del tasso di fertilità non sembrano avere impatti rilevanti neanche quando gli investimenti posti a disposizione sono ingenti. Essi includono misure di agevolazione ai redditi familiari, l’offerta di servizi di assistenza alla cura dei figli, la concessione di congedi familiari per i genitori, ecc. Gli insuccessi più chiari sembrano esservi proprio nei paesi dell’Estremo Oriente dove vengono anche portate avanti campagne informative sulla necessità di cambiare atteggiamenti culturali prevalentemente rivolti all’overworking e a percorsi e scelte familiari molto diverse da quelli delle tradizioni del passato



Nel vecchio continente

E che dire del nostro vecchio continente?
In un recente rapporto della Commissione Europea ( Rif: Commission Staff WorKing Document, “The impact of demographic change – in a changing environment”, 17.1.2023 SWD(2023) 21 final)  emerge con evidenza come nella massima parte dei paesi considerati la popolazione giovanile stia calando, per gli effetti ormai decennali del calo di natalità in molti territori. 


In Italia poi, paese in cui il fenomeno della denatalità ha ormai una lunga tradizione, la popolazione in età attiva (dal punto di vista del lavoro), risulta in minoranza in più del 50% sul totale della popolazione residente nel periodo attuale

Figura 4: percentuale di pensionati su popolazione totale attiva nelle singole province (2023): fonte: Il Sole 24 Ore, 7 Maggio 2023

E tutto questo nonostante movimenti migratori interni al territorio (in particolare fra Sud e Nord Italia, oppure per immigrazioni dall’estero) che continuano a verificarsi in modo massiccio. Con essi si ottiene una importante compensazione al calo della popolazione autoctona in determinati territori e questo soprattutto nelle regioni più avanzate. 

Prendiamo il caso della regione Emilia-Romagna: quest’ultima ha beneficiato attivamente di giovani lavoratori dall’estero ma soprattutto dalle regioni del Sud Italia negli ultimi decenni. Il sistema produttivo ha potuto così sostituire le uscite di lavoratori anziani con giovani maestranze più o meno qualificate dando al saldo annuale fra ingressi e uscite dal territorio regionale delle coorti demografiche di giovane età, un segno sempre positivo. 

Figura 5: saldi (valori assoluti fra entrate e uscite) di giovani 18-39enni negli anni 2002-2020, distinti per italiani (da o per l’estero); italiani (da o per altre regioni italiane); stranieri (da o per l’estero); stranieri (da o per altre regioni italiane) in Emilia-Romagna.


Criticità (nazionali) in un mercato del lavoro (globale)

Ma in questi anni emergono nuove preoccupazioni. 

La prima deriva dalla constatazione che l’inverno demografico è un fenomeno che dilaga in tutte le regioni d’Italia. Anzi esso ha il maggiore impatto proprio in quelle regioni da cui nel passato si è assistito a flussi di continua emigrazione (in particolare dal Sud al Nord). Ora che i tassi di fertilità scendono sempre di più, le regioni del Sud sono allora quelle più colpite dall’inverno demografico. Si riduce così il loro ruolo di “serbatoio gratuito” di forza lavoro giovane a disposizione di altre aree economicamente più vivaci. Tutto questo va a compromettere la tenuta delle stesse regioni più avanzate. Si scopre cioè che parte della competitività di queste ultime dipende (anche) dalla loro capacità di attrarre (in modo continuativo e strutturale) forza lavoro competente da contesti esterni. Ma quando tale forza lavoro comincia a scarseggiare, i “fondamentali” di questo modello di sviluppo cominciano ad essere messi in crisi. 

La seconda preoccupazione è che in un mondo oramai globalizzato, il libero movimento dei lavoratori fa sì che questi ultimi “vendono” le proprie competenze al miglior offerente. E tale transazione va sempre più oltre confine, facilitata da diversi fattori, fra cui:

Ne viene che anche nelle regioni europee più avanzate si assiste ad un crescente fenomeno di emigrazione verso l’estero (si veda ancora il grafico n. 4 nella linea continua verde). Esso riguarda quelle figure giovani più specializzate e con forte “potere contrattuale” che possono quindi muoversi facilmente in contesti esteri dove è alto il fabbisogno di competenze avanzate.

Tutto ciò ha effetti diretti sui processi di nuova urbanizzazione, di concentrazione e movimento della popolazione nello spazio geografico di un territorio più o meno vasto. In particolare considerando i settori economici più avanzati, lo spazio europeo (e perché no, mondiale) si trasforma in una enorme scacchiera in cui le grandi città diventano potenti poli di attrazione delle figure più specializzate. E’ l’effetto “pull-in” prodotto dalle megacities di cui parlava già Enrico Moretti nel suo studio seminale “The new Geography of Jobs” nel 2013. 

Tutto ciò però a danno di altre aree meno avanzate dal punto di vista economico. Questi territori diventano allora sempre più, “aree interne”, da cui la popolazione più giovane progressivamente fuoriesce alimentando nuovi processi di emigrazione e, a cascata, dinamiche continua di “desertificazione” economica e demografica. E, cosa apparentemente paradossale, può anche capitare che queste “aree interne” siano molto vicine ai grandi poli urbani di attrazione: si pensi per questo alla regressione in questi anni di molte aree montane del nostro Appennino.

Figura 6: La rete dei grandi poli urbani in Europa e il movimento di forza lavoro specializzata rappresentata su una foto notturna del continente dal satellite

La nuova guerra sui talenti (“a new war on talents”)

Da alcuni anni gli effetti della crisi demografica sono saliti alla ribalta nei giornali nazionali. Ci si è finalmente resi conto che la costante riduzione della base demografica erode anche la quantità di forza lavoro a disposizione dei sistemi produttivi. Molte imprese denunciano l’impossibilità di reperire nuovi lavoratori e tale carenza va aumentando come chiaramente evidenziato nelle indagini annuali sui fabbisogni occupazionali del sistema Excelsior portato avanti dall’UnionCamere nazionale. In tali condizioni, la disponibilità di forza lavoro (più o meno giovane, più o meno qualificata) emerge sempre di più come un fattore di competitività per un sistema produttivo. Tanto che si ritorna a parlare di “dividendo demografico”, e cioè il surplus che deriva dall’aumento della quota di popolazione in età lavorativa e in particolare dall’aumento della offerta di lavoro per quantità e qualità. Su scala globale ad esempio, il dibattito attuale sulla competitività futura dell’India nei confronti della Cina, verte proprio sul dividendo demografico molto più positivo ormai per la prima rispetto alla seconda.

Ma l’impatto negativo della crisi demografica è differenziato in proporzione al livello di specializzazione della forza lavoro ricercata. Più tale qualifica è elevata, più alti saranno gli effetti negativi della sua scarsa reperibilità su un particolare sistema produttivo: e cioè sulla sua capacità nel lungo termine di creare innovazione, di aumentare la produttività della propria forza lavoro, in generale di mantenere un suo particolare posizionamento nelle catene del valore dei diversi settori economici a livello globale. 

In un mondo in cui il fattore più determinante (in termini marginali) per la crescita di valore aggiunto è sempre di più la capacità di innovazione, si scopre allora come la risorsa “naturale” più preziosa (da conservare o da conquistare fra e dai vari Paesi), è quella dei cervelli (“brains”). E’ su questi che emerge una nuova “guerra” fra economie nazionali: la battaglia fra chi è più capace ad attrarre e trattenere cervelli e talenti.



Da non-politiche a politiche attive per l’attrazione di talenti

In Italia si esce in questi anni da una lunga e più o meno intenzionale “demolizione” delle politiche migratorie del lavoro. Riacquistano importanza solo ora politiche “attive” rivolte all’attrazione di figure specializzate dall’estero. Come ad esempio è accaduto in altri paesi avanzati, vedi la Germania, perlomeno a partire dalla crisi innescata dalla guerra in Siria

Tutto questo del resto si intreccia col problema speculare di valorizzare (anzi trattenere) le forze lavoro specializzate già presenti in un determinato contesto. Questo anche per evitare fenomeni crescenti di emigrazione verso altri territori più attrattivi e competitivi. Si deve fra l’altro tener conto che una strategia del genere si incrocia con finalità di lungo o lunghissimo termine connesse ad esempio al mantenimento di un sufficiente equilibrio demografico in una particolare società.

Ma cosa significa attrarre o valorizzare “talenti” in un determinato territorio? Quali sono le “leve” più utili per farlo? Inoltre, quali sono i soggetti (istituzionali e non) che in un determinato territorio è necessario coinvolgere per portare avanti questo tipo di politiche? E ancora, quali sono le forme di intervento più opportune per promuovere queste strategie? E’ sufficiente una politica volta ad attrarre “cervelli” dall’estero semplicemente concedendo agevolazioni o sussidi? Oppure bisogna intervenire su un ventaglio generale di strumenti che non siano solo di tipo economico-monetario? In una parola, quali sono gli elementi che hanno un peso relativo maggiore in un territorio per rendere quest’ultimo attrattivo?

Se prendiamo il caso dell’Emilia-Romagna, una riflessione portata avanti in questi anni ha determinato le seguenti conclusioni. Per una efficace attrazione dei cervelli, è sicuramente necessario:

garantire un quadro coordinato di politiche, programmi e interventi che favoriscano l’attrazione, la permanenza, il rientro, la circolazione e la valorizzazione di queste persone;

supportare un sistema organico di relazioni istituzionali all'interno e all'esterno del territorio regionale;

promuovere un sistema integrato di servizi pubblici e privati per l’attrattività sia dei talenti (e delle loro famiglie) sia delle imprese.

Occorre insomma che gli interventi volti all’attrazione dei cervelli siano il frutto di un ecosistema istituzionale di politiche, strumenti, soggetti e relazioni, tutti rivolti verso questo obiettivo. 



Una legge di stampo europeo dal livello regionale

Avendo tutto ciò sullo sfondo, la Regione Emilia-Romagna, prima in Europa, ha varato una legge rivolta all’attrazione e valorizzazione di talenti ad elevata specializzazione. E’ la legge regionale 21 febbraio 2023, n. 2. Il testo di legge nasce da una discussione articolata con un numero vastissimo di soggetti: istituzioni, parti sociali, enti privati e pubblici, associazioni e altri organismi. La legge si porta dietro alcune scelte specifiche con le quali iniziare a sperimentare interventi per l’attrazione di talenti. Questi ultimi vengono definiti come coloro che hanno maturato (o che stanno maturando) conoscenze ed esperienze di particolare rilevanza, in particolare connesse agli ambiti della Strategia Regionale di Specializzazione Intelligente. Inoltre l’obiettivo che ci si pone è di ampio respiro: non solo contribuire ad attrarre o far rientrare talenti, ma anche supportare la “scoperta”, la valorizzazione e la permanenza del talento di chi svolge già nel nostro territorio percorsi di lavoro, formazione, ricerca e innovazione.

Ma ciò che differenzia questa legge da altri provvedimenti varati su questo tema in passato (dallo Stato o da altre regioni), è il quadro vasto e articolato di misure che investono l’intero sistema istituzionale della regione. Fra i tanti interventi previsti sono da ricordare il contributo agli enti locali nei servizi di supporto al trasferimento dall’estero di talenti e dei loro familiari anche in relazione alla loro residenzialità; il sostegno ad Università e centri di ricerca per una nuova offerta di assegni, contratti e dottorati di ricerca, per servizi potenziati per il riconoscimento di doppi titoli e/o titoli acquisiti all’estero, per il supporto all’accoglienza e alla residenzialità; per le imprese si prevedono servizi per l’anticipazione di fabbisogni di competenze nonché per la ricerca di esse a livello anche internazionale; reti europee e internazionali dovranno essere supportate per favorire la mobilità e circolazione dei talenti anche ai fini della creazione o accelerazione di nuove imprese nel territorio regionale; specifiche agevolazioni verranno definite dalla Giunta per sostenere assunzioni dei talenti da parte delle aziende in regione nonché per il supporto a servizi di welfare a favore dei loro familiari. La legge si porta in dote 2 milioni di euro di risorse regionali a cui vanno però aggiunte le ingenti risorse offerte dalla programmazione dei Fondi Strutturali Europei. Fra i primi passi per l’attuazione della legge vi dovrà essere la costituzione di un Comitato regionale con funzioni consultive, a cui saranno chiamate a partecipare associazioni di impresa, sindacati, rappresentanti del mondo delle professioni, enti locali, università e altri soggetti facenti parte dell’ecosistema regionale dell’innovazione e della ricerca. 




Cercare le regole dell’attrazione

In occasione di una campagna informativa svolta alcuni anni fa sull’attrattività dei territori, fu chiesto ad uno studente cinese in un’intervista quale fosse la cosa che per lui era più attraente della città di Bologna. Lo studente rispose: “A me la cosa che più piace di questa città, sono le Porte storiche delle Mura”… Questo per dire banalmente che ciò che per noi è attrattivo non è detto che lo sia per altri e, al contrario, che ciò che abbiamo sotto i nostri occhi ogni giorno potrebbe essere di grande valore (non solo estetico) per chi viene da fuori.

Ci si deve chiedere se il dibattito sulla competitività dei territori deve basarsi solo sull’offerta di retribuzioni più o meno alte per i lavoratori che arrivano nei nostri luoghi. E’ solo il salario quello a cui un “talento”, ad esempio, guarda per scegliere se trasferirsi in un posto oppure no? Ci sono altri fattori su cui investire e che potrebbero rappresentare una leva altrettanto importante per migliorare l’attrattività di un territorio? Ad esempio un’offerta di qualità di servizi alle persone e alle famiglie, di servizi educativi, di trasporti pubblici efficienti, di residenzialità accessibile, potrebbe essere di pari importanza? E il discorso si potrebbe allargare ad una qualità della vita connessa alla qualità dell’ambiente, fino al pensare all’”estetica” e quindi alla bellezza di un paesaggio o di un vivere comune in un determinato luogo. E’ il “genius loci” che qui si va cercando di definire. Esso si collega anche a ciò che una comunità locale vuole fare o avere per un suo “buon vivere” futuro. 

E’ una riflessione che ha un chiaro impatto non solo per chi e quanto vogliamo attrarre dall’esterno ma anche e soprattutto per chi e quanto vogliamo trattenere al nostro interno, in termini di “cervelli”, talenti, famiglie e in generale cittadini. In un mondo che si è fatto completamente “piatto”, l’emigrazione da un certo territorio di persone giovani, con qualifiche e competenze più o meno elevate, ha un impatto che è comunque e sempre più che proporzionale alla singola cancellazione anagrafica di quella persona dal comune di partenza. E’ un dato di cui bisogna prendere completa coscienza. E’ un aspetto che può essere bilanciato solo da una pari immigrazione di persone con talenti, competenze, e volontà di fare a vantaggio dei nostri territori. Una politica del “buon vivere” lo è se promuove questa “circolazione dei talenti” a tutto vantaggio del progresso civile della propria comunità.



Epilogo

Riszard Kapuskinsky nel suo “In Viaggio con Erodoto” riporta un aneddoto sui metodi di governo dei tiranni che il grande geografo greco del IV sec. a.c. racconta nelle sue “Storie”. 

Periandro e Trasibulo sono entrambi tiranni: il primo, di giovane età, della città di Corinto e il secondo, molto anziano, della città di Mileto. Periandro invia un araldo dal vecchio Trasibulo per chiedere consiglio su qual è il migliore metodo per mantenere il potere nella propria città: 

Trasibulo condusse l’inviato di Periandro in un campo seminato e, mentre l’araldo parlava, ogni volta che fra le messi vedeva qualche spiga che sorpassava le altre la recideva, e poi la gettava via, finché in tal modo ebbe distrutta tutta la parte più bella e più alta di tutto il raccolto. Dopo aver attraversato il campo, senza aggiungere alcuna parola, mandò via l’araldo. Quest’ultimo, tornato a Corinto, riferì a Periandro che non aveva ricevuto alcun consiglio ma che mai aveva veduto un uomo così dissennato che distruggeva i suoi beni più preziosi ed espose a Periandro quello che aveva visto fare da Trasibulo. Periandro, pur non avendo ricevuto risposta, capì, e da quel giorno spadroneggiò a Corinto, uccidendo e scacciando i migliori.