LE RETI DI IMPRESA
Il distacco semplificato e la codatorialità: sulla rampa di lancio ? 

di Avv.  Fabrizio Garaffa e Alessandra Mei
20  novembre 2023

La ricerca di Palco nel mondo del lavoro non si è mai posta limiti particolari, ha affrontato ed affronterà temi di valore universale che riguardano milioni di lavoratori ma anche temi con una portata applicativa probabilmente più limitata ma non per questo meno affascinanti o del tutto privi di conseguenze sull’organizzazione del lavoro. 


A quest’ultima categoria appartengono probabilmente le reti di impresa, il distacco semplificato e la codatorialità: queste ultime due sono particolari misure di diritto del lavoro riservate a questa particolarissima forma di aggregazione di imprese. 


Il distacco semplificato e la codatorialità nelle reti di impresa sono stati quindi approfonditi in un incontro organizzato da Palco il 20 novembre del 2023 a Bologna, e i cui interventi sono stati riassunti nelle brevi note che stanno per seguire.


Due i relatori che hanno animato l’evento, l’Avv. Fabrizio Garaffa, esperto di reti di impresa, e la Dott.ssa Alessandra Mei, referente consulenza e relazioni industriali di CNA Bologna.


I Parte Avv. F. GARAFFA

Le reti d’impresa: una breve premessa

Il dibattito è stato aperto dall’Avv. Garaffa, che ha in primo luogo definito lo strumento giuridico che dà vita alle reti di imprese, vale a dire il contratto di rete, che è uno strumento di aggregazione agile e flessibile, che permette alle imprese coinvolte di realizzare un’idea imprenditoriale comune, senza vincoli di distretto o comunque geografici, mantenendo in capo alle singole imprese in rete la propria autonomia giuridica ed aziendale. Già si intuisce da questa prima definizione che il contratto di rete è uno strumento che è stato pensato e disegnato per gli imprenditori, ed, in effetti, fino a diversi anni fa, solo gli imprenditori potevano partecipare ad una rete di imprese, nelle seguenti forme:

Liberi professionisti, associazioni e fondazioni nonché pubbliche amministrazioni non potevano quindi stipulare un contratto di rete e partecipare direttamente ad una rete di imprese.

Art. 12, L. 22.5.2017, n. 81 (cosiddetto Jobs Act autonomi)


Sennonché, dopo diverse sollecitazioni, il Legislatore del cosiddetto Jobs Act autonomi (Legge 22 maggio 2017, n. 81, art. 12) decide, all’interno di un articolo dedicato a potenziare la partecipazione dei lavoratori autonomi ad appalti e bandi pubblici, di inserire la seguente disposizione:


“Al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all'assegnazione di incarichi e appalti privati, è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità:

di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all'articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (. . .), con accesso alle relative provvidenze in materia».


Si tratta di una piccola, grande rivoluzione per le reti d’impresa, poiché viene superato uno dei punti fermi del contratto di rete, la cui originaria disposizione riservava alle imprese la partecipazione alla rete.

A parere di chi scrive, però, per rendere effettivamente operative tali norme mancavano, fino a poco tempo fa, diverse disposizioni attuative che però sono state di recente introdotte nel nostro ordinamento, come vedremo a breve.


Torniamo per un attimo a concentrare la nostra attenzione sul contratto di rete e chiediamoci quale era il vantaggio, nel 2009, anno della prima apparizione della rete d’impresa, così come nel 2024, di entrare a far parte di una rete d’impresa. La risposta è sempre la stessa: perché la rete d’impresa è un’aggregazione tra imprenditori per l’economia globalizzata, il cui scopo principale consiste nella

crescita della capacità innovativa e della competitività delle imprese partecipanti, considerate sia come singole imprese che parte della collettività di rete.


Per perseguire gli scopi del contratto di rete è necessario fissare in un documento comune le regole alla base della collaborazione fra le imprese: questo è il programma comune.

Nel programma comune abbiamo:


Il programma comune di rete costituisce infatti il fulcro dell’intero contratto ed è un elemento di programmazione strategica e di pianificazione imprenditoriale che non si ritrova nelle altre forme di aggregazione imprenditoriali attualmente esistenti, come i consorzi e le ATI, per esempio.


Oltre a ciò, ricordiamo come la rete d’impresa costituisca una forma di aggregazione ambiziosa perché tra gli elementi fondamentali del contratto ci sono gli obiettivi strategici della rete (ad esempio: internazionalizzazione, integrazione dell’offerta tra le diverse imprese in rete; realizzazione di un e-commerce di rete, creazione di un dipartimento ricerca e sviluppo comune di rete; miglioramento della logistica di rete, ecc.) e le modalità di misurazione dell’avanzamento verso tali obiettivi.


La rete d’impresa è inoltre flessibile perché prevede diversi livelli di collaborazione interna. Infatti le imprese retiste possono:


Detto questo, è bene precisare che anche il consorzio, così come le altre forme di aggregazione tra imprese, è e ovviamente resta uno strumento di grande utilità per gli imprenditori, con le sue caratteristiche e peculiarità, che sono ovviamente diverse dalle reti d’impresa e che per motivi di spazio non riusciamo ad affrontare in questo intervento.



Elementi obbligatori e non obbligatori nel contratto di rete

Ci chiediamo ora quali siano gli elementi che, secondo la legge, devono per forza essere presenti nel nostro contratto di rete. Li vediamo brevemente qui di seguito:



Sono, invece, elementi non obbligatori del contratto di rete, che, quindi, possono anche non essere presenti nel nostro contratto di rete ma questo non ci impedirà di dare comunque vita ad una rete:

il fondo patrimoniale comune: l’insieme dei beni conferiti dai retisti per il funzionamento della rete di imprese nonché i beni acquisiti attraverso queste risorse;


l’organo comune: il soggetto chiamato ad eseguire il contratto di rete o una o più parti o fasi dello stesso.




Rete-contratto e rete-soggetto

Esaurita l’analisi degli elementi, obbligatori o meno, del contratto di rete, possiamo menzionare un altro aspetto di grande flessibilità di questo contratto: la possibilità di dar vita, in base ad una pura e semplice scelta delle imprese in rete, ad una rete-contratto o ad una rete-soggetto. La prima è una organizzazione comune “rafforzata”, basata spesso su un mandato tra i retisti e l’organo comune, accompagnato dal fondo patrimoniale comune. La rete-soggetto è invece un vero e proprio soggetto giuridico autonomo, in questo vicino ad una società di capitali anche se privo della personalità giuridica vera e propria. La rete-soggetto può avere una P. IVA propria.



Distacco semplificato e codatorialità nelle reti di impresa

Torniamo ora ai due istituiti di diritto del lavoro tipici delle reti di impresa, il distacco semplificato e la codatorialità.


Sappiamo che si ha distacco quando un imprenditore, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro imprenditore per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. Questo in linea generale. Sennonché il D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, Art. 30, comma 4-ter, stabilisce quanto segue: 


« Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa (. . .), l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell'operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall'articolo 2103 del codice civile. Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso».


Questa disposizione è applicabile dall’agosto del 2013 ma per diversi anni molto si è discusso di distacco semplificato e di codatorialità: come inquadrarli, come applicarli, con quali formalità, ecc. E, forse a causa di queste incertezze interpretative ed applicative, i due istituti stentavano a diffondersi tra le reti d’impresa.


Questo fino alla emanazione di due atti molto importanti per il distacco semplificato e la codatorialità nelle reti di impresa, che ci hanno dato importanti indicazioni:


Procediamo però con ordine e partiamo dalle comunicazioni tipiche del mondo del lavoro, visto che le due fonti appena citate hanno introdotto un modello specifico per le reti di impresa.

Ed, infatti, le comunicazioni di inizio, trasformazione, proroga e cessazione dei rapporti di lavoro in codatorialità ed in distacco semplificato possono essere ad oggi effettuate in via telematica mediante il nuovo modello “Unirete”.


Ciò comporta che all’interno della rete debba essere individuata l’impresa referente per effettuare queste comunicazioni. L’impresa referente è quindi l’impresa abilitata per la rete alle comunicazioni; questa dovrà allegare alla comunicazione:

il contratto di rete, contenente le «regole d’ingaggio» della codatorialità, l’elenco delle imprese codatrici e l’individuazione della impresa referente.


Per i lavoratori neoassunti in codatorialità le retiste dovranno individuare un datore di lavoro di riferimento (da non confondersi con l’impresa referente per le comunicazioni), che dovrà registrare le prestazioni sul Libro unico lavoro e sarà titolare degli adempimenti previdenziali e assicurativi; i dati richiesti sono gli stessi dell’ordinario modello Unilav.


Per i lavoratori già assunti e poi «passati» in codatorialità, il datore di lavoro di riferimento sarà invece quello originario che li assunti prima del loro passaggio in codatorialità.

Il contratto collettivo da applicare corrisponde a quello del datore di lavoro di riferimento, indicato nella relativa comunicazione.

Per il trattamento previdenziale ed assicurativo del lavoratore in codatorialità è necessario riferirsi al datore di lavoro di riferimento indicato nella relativa comunicazione Unirete e del relativo CCNL.


Ovviamente anche al lavoratore in codatorialità si applica l’art. 2103 cod. civ. per cui quest’ultimo deve essere adibito presso ciascun codatore alle mansioni per le quali è stato assunto oppure a mansioni corrispondenti all’inquadramento superiore successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello o categoria legale; è però possibile riferire all’intervenuto contratto di rete il mutamento degli assetti organizzativi abilitanti l’adibizione a mansioni inferiori (art. 2103 cod. civ., comma 2).


Nel rapporto di lavoro in codatorialità tutti i retisti assumono il ruolo sostanziale di datori di lavoro benché gli adempimenti relativi alla gestione del rapporto di lavoro siano formalmente riservati ad un’unica impresa. I lavoratori in codatorialità dovranno infatti lavorare in favore di tutti i codatori e, di conseguenza, spetterà a questi ultimi adempiere ai relativi obblighi retributivi e previdenziali. Ne deriva che l’adempimento degli obblighi connessi al rapporto di lavoro potrà essere richiesto, per l’intero, a ciascun codatore, ferma restando la possibilità per i medesimi codatori di concludere accordi, nei solo rapporti interni, volti a limitare le responsabilità e la natura liberatoria dell’adempimento dell’uno nei confronti dell’altro con eventuale regresso.


Conclusioni


I recenti atti già citati poc’anzi, vale a dire il Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 29 ottobre 2021 n. 205 e la Comunicazione dell’Ispettorato nazionale lavoro in data 22 febbraio 2022 hanno avuto il merito di aver chiarito diversi aspetti applicativi del distacco semplificato e della codatorialità nelle reti d’impresa, consentendo agli imprenditori di accedervi con meno dubbi e diverse utili indicazioni in più, circostanza che ha contribuito e, molto probabilmente, ancor di più contribuirà, alla loro diffusione.





II Parte, Dott.ssa Alessandra MEI

Analisi del tessuto imprenditoriale italiano, Small Business Act e rete d’impresa

L’analisi dell’istituto delle reti d’impresa passa necessariamente dall’osservazione del nostro tessuto produttivo. Il rapporto ISTAT 2022 dimostra come il 99,9% delle imprese italiane sia composto da micro, piccole e medie imprese. Parimenti, i dati divulgati dalla Commissione Europea, confermano che anche nei 27 Paesi dell’UE, il 99,8%di imprese è di micro, piccola o media dimensione. I criteri di classificazione di queste tre categorie di aziende sono contenuti nella Legge 107/1996 e ss.mm.ii., che ha recepito la Raccomandazione C.E. 280/96, la quale, rispetto al parametro occupazionale, indica: 



All’interno di questo segmento di imprese si distingue una struttura organizzativa che corrisponde principalmente a due modelli organizzativi:

In entrambe i modelli organizzativi, la direzione aziendale normalmente è in capo all’imprenditore individuale, ovvero ad una società di capitali composta da una compagine prevalentemente famigliare o di persone tra loro legate anche da altri rapporti e non solo unicamente dal rapporto societario. Le caratteristiche salienti di tali modelli organizzativi si sostanziano in uno stile di gestione e processi decisionali accentrati nei quali, spesso, manager e proprietario coincidono. Il know-how deriva dalla competenza ed esperienza maturata dal manager/proprietario e il business, nonché il capitale umano, sono “localizzati”. 


Molto spesso tali imprese, anche quando fanno parte di grandi filiere produttive, hanno limitato accesso ai mercati internazionali, non sempre hanno adeguate capacità di investimenti e strutture in grado di elaborare economie di scala con frequenti difficoltà di accesso al credito. A tutto ciò si aggiunga che, nella maggior parte dei casi, si tratta di aziende fondate dal proprietario nei decenni passati, durante gli anni di espansione e crescita economica del Paese e che oggi, segnate dai profondi cambiamenti della moderna industrializzazione e dalla repentinità e volatilità dei mercati, si trovano a dover gestire la transizione generazionale non sempre assicurata dalla presenza di nuove leve disposte a mettersi al comando dell’impresa. 


In questo segmento di imprese si riscontrano, quindi, due elementi caratterizzanti, a tratti, in contraddizione, ovvero: da un lato una penetrante presenza della proprietà che, comunemente, non è disposta a limitare il suo agire e la sua ingerenza all’interno dell’impresa considerandola sotto ogni aspetto “la propria creatura”; dall’altro lato la necessità sempre più stringente di fare parte di un network al fine di generare sinergie e sopperire a tutte quelle difficoltà/limiti derivanti dalla loro dimensione medio-piccola come sopra elencate. Nel fronteggiare tale scenario, da sempre, si è fatto ricorso a diverse forme di networking, da quelle tipizzate del codice civile quali: associazionismo, consorzi, cooperazione e contratto di appalto, a quelle scaturite da prassi commerciali e normate da leggi speciali quali: ATI, franchising e, su tutte, il contratto di rete.


Il contratto di rete nasce con la legge 33/2009 in attuazione del Small Business Act di emanazione della Commissione Europea del 2008 (COM 2008 -394) il quale intende sottolineare l’importanza delle PMI quali creatrici di posti di lavoro e protagoniste nella corsa al benessere delle comunità locali e regionali. Nel decalogo contenuto nel SBA, il contratto di rete si declina nei seguenti punti:


Il contratto di rete si distingue da tutte le altre forme di networking per le sue peculiari potenzialità che ben si adattano alla dimensione e struttura “emotiva” delle micro, piccole e medie imprese. 


Infatti, mentre tutte le altre modalità presuppongono soluzioni che, ognuna per aspetti diversi, limitano l’autonomia o l’agire dell’imprenditore all’interno della sua impresa, nel contratto di rete, al contrario, per come è normativamente strutturato, ciò non accade. 


Infatti, mettendo a disposizione della rete una collaborazione all’interno degli ambiti individuati e predeterminati al fine di accrescere, individualmente o collettivamente, la capacità innovativa e la competitività sul mercato della propria impresa, l’imprenditore resta pienamente autonomo in ogni suo potere gestionale e di comando, salvaguardando in tal modo la parte “emotiva” dell’impresa; non subisce interferenze gestionali da parte delle altre imprese retiste; non deve apportare modifiche allo statuto o policy aziendali e, non per ultimo, grazie alle ultime novità introdotte anche in via interpretativa, con gli istituti della codatorialità e distacco semplificato, ha la possibilità di utilizzare in maniera flessibile e duttile i talenti e le competenze di cui la sua impresa ha necessità per crescere. 


Per tutte le caratteristiche sopra delineate, il contratto di rete si conferma lo strumento più adeguato a disposizione delle aziende di micro-piccola e media dimensione per crescere ed innovare, salvaguardando quella dimensione locale e regionale delle imprese che, dal dopoguerra in poi, ha assicurato al nostro tessuto sociale una distribuzione diffusa della ricchezza e la creazione della classe sociale intermedia.