LA SALUTE MENTALE sul posto di lavoro
di Giulia paganin, Federico Fraboni, Università di Bologna
25 marzo 2024
di Giulia paganin, Federico Fraboni, Università di Bologna
25 marzo 2024
Negli ultimi decenni, il mondo del lavoro è stato travolto da un’enorme e rapida digitalizzazione, che altresì ha influenzato il nostro modo di vivere e di relazionarci con le informazioni e con le altre persone.
Qualche esempio?
Quanti di noi si svegliano e prendono in mano il cellulare, per controllare le mail? Quante volte ci è capitato di prendere in mano lo smartphone, pensando di aver ricevuto qualche notifica o di aver sentito la vibrazione? E infine, quanti di noi si “isolano” in qualche momento della giornata, anche quando ci si trova in mezzo agli altri, persi all’interno di una serie di post, più o meno interessanti, senza smettere di leggere e “scrollare”?.
Ecco, la pervasività delle nuove tecnologie ha senz’altro impattato il nostro modo di lavorare. Solo per fare alcuni esempi: se da un lato ha permesso di velocizzare le comunicazioni, consentendo di lavorare con persone anche geograficamente distanti da noi, di automatizzare alcune procedure e alleggerire il carico individuale, dall’altro ha facilitato la reperibilità al di fuori degli orari lavorativi, peggiorando il nostro bilanciamento tra lavoro e vita privata.
E non solo: negli ultimi anni l’evoluzione e la diffusione di strumenti e tecnologie basate sull’ intelligenza artificiale (IA) è stata esponenziale, portandosi dietro, oltre i consueti benefici e vantaggi, una serie di domande relative all’impatto che potrebbe avere sulla natura di alcune professioni e sul modo di lavorare, portando professionisti e lavoratori a riflettere su concetti di fiducia, sviluppo e re-impiego di competenze e collaborazione con sistemi basati su intelligenza artificiale.
Focalizzandoci dunque sugli impatti che questi cambiamenti hanno sulla salute mentale dei lavoratori, diventa importante affiancare ai classici fattori di rischio psico-sociali, anche la tecnologia come un potenziale elemento da monitorare e su cui intervenire.
Quando parliamo di salute mentale, emergono diversi concetti ad esso correlati. Intanto, possiamo considerare la salute mentale nel contesto lavorativo come uno stato di benessere nel quale un individuo è in grado di utilizzare efficacemente le proprie risorse per almeno tre scopi: fronteggiare il normale stress quotidiano e lavorativo; svolgere la propria attività in maniera produttiva; fornire un contributo valido alla propria comunità di appartenenza.
Un modo per promuovere tale stato di benessere è dunque tener sotto controllo i livelli di stress dei lavoratori. Una nota teoria psicologica, molto utilizzata nell’ambito della ricerca, afferma che i livelli di stress e dunque di malessere, dipendano da uno squilibrio tra le richieste provenienti dal proprio lavoro (quali carico di lavoro, ambiguità di ruolo, conflitti interpersonali, …) e le risorse personali e professionali necessarie per fronteggiare tali richieste (autonomia, resilienza, supporto, …).
Viceversa, lo stato di coinvolgimento lavorativo e dunque di benessere dipende dalla presenza di livelli di risorse sufficienti per affrontare in maniera efficace le peculiari richieste provenienti dal proprio ambiente. Il livello di benessere dei lavoratori risulta strettamente legato, quindi, a due concetti molto importanti: quello di burnout e di work engagement. Nello specifico, il burnout è uno stato caratterizzato da esaurimento emotivo, distacco dal proprio lavoro e diverse sintomatologie psico-fisiche negative.
Questo esito risulta impattare il benessere dei lavoratori, colpendo in particolar modo la loro salute, la loro produttività e la motivazione al lavoro. L’altra faccia della medaglia è il work engagement, uno stato mentale positivo, caratterizzato da vigore, dedizione e assorbimento nelle proprie attività lavorative. Tale esito risulta essere positivamente legato alla salute dei lavoratori, favorendo un loro coinvolgimento con il lavoro che favorisce poi prestazioni ottimali.
Utilizzando questi concetti, occorre rileggere la tecnologia come strumento positivo, in grado di aiutare i lavoratori a promuovere il proprio benessere, piuttosto che come un carico in più, che si somma a quanto già presente.
In questo senso, ci sono diversi esempi di come la tecnologia possa essere un mediatore efficace di strategie per la promozione della salute mentale, del benessere e riduzione dello stress lavorativo. H-Work (https://h-work.eu/), un progetto finanziato dall’ Unione Europea e coordinato dal prof.
Luca Pietrantoni dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, ha avuto l’obiettivo di promuovere la salute mentale dei lavoratori, insieme alla diffusione di raccomandazioni pratiche per i datori di lavoro, i professionisti della salute sul lavoro e i decisori politici. Uno degli output principali di questo progetto è stata la "Mental-health-at-Work Platform" (https://www.mentalhealth-atwork.eu/). Tale piattaforma online, completamente gratuita, sfrutta le conoscenze collettive dei vari partner del progetto europeo, con l'obiettivo principale di aumentare la consapevolzza delle PMI e organizzazioni del settore pubblico Europee, verso la tematica della salute mentale nei luoghi di lavoro, guidando i decisori chiave, come i datori di lavoro, i dirigenti, i professionisti della salute e della sicurezza sul lavoro e delle risorse umane, nella promozione efficace del benessere mentale della loro forza lavoro.
Questo obiettivo è perseguito attraverso la fornitura di strumenti interattivi di valutazione e intervento, oltre che con l'offerta di policy brief e soluzioni di calcolo economico per gli interventi di salute mentale.
Per concludere, un concetto così consolidato come quello della salute mentale nei luoghi di lavoro e del benessere dei lavoratori, ha bisogno di continui aggiornamenti sia rispetto agli elementi che sono in grado di influenzarla, sia rispetto agli strumenti disponibili per renderla più accessibile e comprensibile a tutti.